Tutti i bambini
hanno diritto ad un padre
e una madre.

Conviventi: nuove famiglie di serie B

Il Tribunale chiamato a risolvere anche le liti dei "nuclei atipici"

Estratto della inchiesta, in quattro puntate, sulla famiglia di fatto pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno (nn. del 30.10.1999, 1.12.1999, 5.01.2000, 10.03.2000) a cura dell'avv. Cinzia Petitti del foro di Bari e del dott. Elio Matarrese, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno.


Questa inchiesta si sforzerà di esaminare, attraverso casi pratici ed una utile scheda giuridica, i numerosi problemi che nascono da una unione non legalizzata e come tale non tutelata giuridicamente.


Le unioni non legalizzate aumentano in proporzione all'aumentare dei divorzi e delle separazioni, alle dissoluzioni dei matrimoni religiosi, attraversati dalla crisi di un vincolo sempre meno sacro e sempre più laico. Oggi chi si sposa paga costi che non si esauriscono nel giorno del fatidico sì, affronta oneri a volte molto più pesanti di coloro che scelgono la convivenza come forma di unione più o meno duratura. Nello stesso tempo, in cambio, è più garantito e viene meglio tutelato dallo stato sociale. I soggetti che danno vita alla famiglia di fatto, in cui convivono nella maggior parte dei casi figli nati dalle precedenti unioni dei genitori, affrontano invece maggiori problemi ed angosce quotidiane, liti, querele e cause interminabili per maltrattamenti fisici e/o morali, per mancato pagamento del contributo al mantenimento dei figli etc.. Molte le donne o gli uomini abbandonati che combattono controversie lunghe ed onerose per vedere riconosciuto un qualche diritto. Un'esperienza per tutti molto dura: genitori, figli, avvocati, giudici.. In un paese che dedica sempre maggiori attenzioni alla salvaguardia dei nuovi soggetti del diritto di famiglia (le regioni Lazio e Lombardia stanno approntando leggi pilota destinando fondi consistenti per i conviventi indigenti) ed alla tutela dei minori non riconosciuti, le c.d famiglie di fatto stentano ancora ad elevarsi dal rango secondario di "famiglie di serie B". Il diritto di famiglia (legge di riforma 151/75) è regolato da una legge vecchia ed ormai superata per gli operatori del diritto e per le sopravvenute esigenze del diritto stesso. E' ancora un libro di belle intenzioni nonostante la riforma sia diventata indifferibile. Cerchiamo di capire perché.


LA DEFINIZIONE DEL FENOMENO
Con l'espressione famiglia di fatto ci si riferisce al nucleo formato da coppie non coniugate che convivono stabilmente, con o senza prole. In senso più ampio, essa comprende anche i nuclei familiari costituiti dal singolo genitore e dal figlio (o dai figli) riconosciuti dal genitore o con dichiarazione del Tribunale.


LA TUTELA GIURIDICA o la non tutela.
Non esiste una normativa che regolamenti espressamente il fenomeno perché la famiglia di fatto non è stata equiparata, salvo alcuni aspetti legati alla presenza di figli naturali, alla famiglia legittima basata sul matrimonio. Eppure i conviventi fanno ormai parte del nostro tessuto sociale sia per libera scelta sia perché costretti (si pensi alle coppie in attesa di divorzio o della sentenza che dichiari la nullità del matrimonio). Si sente parlare di un accordo, quello dei conviventi, che si rinnova giorno per giorno e del quale alcuna legge può occuparsi. Così come nasce e si rinnova quest'accordo può spezzarsi in qualsiasi momento. Succede per i matrimoni perché non dovrebbe accadere per le convivenze? E se una separazione legale porta con sè moltissimi problemi pratici e psicologici, la cessazione di una convivenza di fatto, proprio perché non regolamentata giuridicamente, scatena molto spesso inutili battaglie e seri problemi di adattamento. Infatti, il coniuge più debole può comunque contare su tutta una gamma di diritti- mantenimento, assegnazione della casa coniugale, pensione di reversibilità, trattamento di fine rapporto, successione etc..- che nessun marito o moglie, andando via di casa, può sottrargli. Al contrario, il convivente non legalmente sposato, pur avendo condiviso una intera vita con il proprio compagno, può trovarsi senza più nulla. Senza affetto, senza soldi, senza casa e senza tutela, soprattutto se dall'unione non siano nati figli. Difatti, il convivente che non abbia generato alcun figlio non ha alcun diritto nascente dalla unione finita. *** Ed è il caso noto di quella signora che, lasciata dopo dieci anni di convivenza, pretendeva la restituzione dei regali e dei soldi spesi per il menage. Ma difficilmente il tribunale le riconoscerà alcun diritto, trattandosi di prestazioni volontariamente eseguite in esecuzione di doveri morali. Altrettanto noto il caso di quella signora che, dopo la separazione dal convivente, ha ottenuto una cospicua somma di danaro non nella sua qualità di compagna, bensì in quello di "fedele collaboratrice domestica decennale" Ed è allora che, data la mancanza di regole, in una parola di "degiuridificazione", sono le stesse famiglie naturali a doversi allontanare dalla mentalità assistenziale dello stato- mamma ed, eventualmente ad autoregolamentarsi con appositi patti scritti di convivenza. *** E' di indubbia utilità esaminare praticamente i diritti ed i non diritti che dalla convivenza nascono.


LA CESSAZIONE DELLA CONVIVENZA.
Non è prevista una procedura simile alla separazione dei coniugi. Si tratta per legge di due estranei la cui regolamentazione della separazione è rimessa a liberi accordi (i richiamati patti di convivenza). Il convivente economicamente più debole non ha alcun diritto all'assegno di mantenimento od agli alimenti.


EREDITA'.
Al convivente superstite non viene riconosciuto alcun diritto successorio. L'unico modo per assicurargli tale diritto è tramite un lascito testamentario. In questo caso, tuttavia, come un qualsiasi estraneo, può partecipare solo per la quota disponibile. Le imposizioni fiscali sono, poi, più rilevanti di quelle previste nella successione di congiunti. Si potrebbe tuttavia ricorrere ad assicurazioni in favore del partner superstite.
*** Il Caso: vedova di fatto non ha nulla. M., quarant'anni, ha un lavoro saltuario ed un figlio studente liceale, avuto da un matrimonio finito tanti anni or sono. Negli ultimi quindici anni dopo il divorzio ha convissuto con un uomo dolce e sensibile che è diventato un fedele compagno per lei ed un secondo padre per il figliolo. Ma, pur attento alle necessità della famiglia di fatto, non ha mai voluto sposare M. Adesso lui è morto senza aver lasciato alcun testamento nel quale ad M. venga riconosciuto qualche diritto. Il fratello del defunto, l'unico erede legittimo, ha con tanta sensibilità, portato via tutti i diritti a chi diritti non ha. Senza preavviso alcuno, la sfortunata protagonista della vicenda un giorno si è vista piombare in casa l'ufficiale giudiziario che ha inventariato tutto quanto (anche beni comperati dalla stessa M., senza averne conservato ricevuta) intimandole di lasciare l'appartamento di una vita che M. non ha avuto l'accortezza di farsi intestare o cointestare. ***


PENSIONE DI REVERSIBILITA'.
Il convivente non ha diritto alla pensione di reversibilità.


RISARCIMENTO IN CASO DI MORTE.
Il convivente non ha diritto a titolo ereditario ed automaticamente al risarcimento. La giurisprudenza ha tuttavia ammesso la rilevanza del danno consistente nella lesione dell'aspettativa del convivente superstite alla continuazione delle elargizioni ricevute con carattere di continuità dal defunto, con conseguente risarcibilità del danno morale e materiale.


TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DEL CONVIVENTE.
Il convivente non ha diritto ad alcuna quota della liquidazione del convivente per cessazione dell'attività lavorativa.


LAVORO NELL'IMPRESA FAMILIARE.
Il coniuge ha diritto, se lavora nell'impresa di famiglia dell'altro coniuge, al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e può partecipare agli utili dell'impresa ed ai beni acquistati per gli stessi. Il convivente, invece, rispetto all'impresa familiare del compagno (o compagna) è un terzo estraneo.


MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA, VIOLAZIONI DEGLI OBBLIGHI.
Il convivente è considerato "persona della famiglia" dal codice penale (art. 572 cp.) e tutelato penalmente in tale veste, nel caso subisca maltrattamenti (fisici o morali). Non è invece previsto tra i conviventi il reato di violazione degli obblighi familiari.


TUTELA DELLE LAVORATRICI MADRI E SUSSIDIO PER LE MADRI DISOCCUPATE.
Le agevolazioni previste dalle amministrazioni locali sono usufruibili dalle donne non coniugate o conviventi more uxorio.


ASSISTENZA DEI CONSULTORI FAMILIARI.
La legge sui consultori familiari (l. 1975 n. 405) indica tra gli aventi diritto, accanto ai singoli ed alle famiglie, le "coppie".


ORDINAMENTO ANAGRAFICO.
Definisce come famiglia anche oppure ogni comunità fondata su vincoli affettivi e caratterizzata dal rapporto di convivenza e dalla messa in comunione di tutto o di parte del reddito.


LA CASA "CONIUGALE": I FIGLI DECIDONO A CHI VA LA CASA. EX CONVIVENTI SENZA FIGLI.
1) Casa di proprietà. Quando i conviventi decidono di interrompere la loro relazione, il diritto di continuare a vivere nella casa familiare spetta a chi ne ha l'esclusiva proprietà. Se, difatti, l'immobile risulta intestato ad uno solo dei conviventi il diritto spetta a lui soltanto. In caso di mancato rilascio spontaneo dell'immobile da parte dell'altro non titolare, il titolare potrà agire in giudizio per la restituzione dell'immobile. In principio la giurisprudenza equiparava il convivente ad un ospite, negandogli la possibilità di vantare qualsiasi diritto a detenere l'immobile adibito a casa familiare se non proprietario. Successivamente, alcune sentenze si allontanarono da questo paragone. I compagni sarebbero uniti da vincolo che, sia pure di fatto e non giuridico, andrebbe oltre la semplice ospitalità, costituendo la nascita di una situazione di possesso tutelabile. Se accolta, tale teoria determinerebbe una situazione anomala: il convivente non proprietario, cacciato con violenza o di nascosto dal convivente proprietario, potrebbe ricorrere al magistrato chiedendo la reintegrazione nel possesso di cui è stato spogliato. L'ex convivente proprietario sarà poi costretto ad agire in giudizio per dimostrare il suo titolo di proprietà. Come possono accordarsi gli ex conviventi? Se la casa è di proprietà di uno solo: il convivente proprietario o comproprietario della casa familiare può costituire, per mezzo di un contratto condizionale (condizionato, cioè, all'ipotesi della cessazione della convivenza), un diritto di "uso temporaneo" in favore del partner più debole. Il diritto di proprietà non si perde ma rimane limitato per il periodo convenuto.
2) Casa familiare condotta in locazione. Quando il contratto di locazione è intestato ad uno solo dei conviventi od ad entrambi le parti possono prevedere nel contratto di locazione, sempre che il proprietario dell'immobile sia d'accordo, una clausola mediante la quale si preveda la possibilità per uno dei conviventi di rimanere nella detenzione dell'immobile qualora cessi la convivenza.


EX CONVIVENTI CON FIGLI.
Anche in questo caso occorre distinguere due ipotesi.
1)Casa familiare di proprietà. In analogia con quanto previsto in tema di separazione e di divorzio il Tribunale può (non è tenuto sempre a farlo) affidare la casa al convivente non proprietario ma affidatario dei figli minori o maggiorenni non autonomi economicamente. L'orientamento consolidato di disporre tale assegnazione è stato tuttavia criticato da un Tribunale, quello di Como, diventato famoso per aver "scomodato" ed invitato la Corte Costituzionale a pronunciarsi in merito. La Corte, con una sentenza notissima (116/98), ha ribadito che non è necessario ricorrere alla applicazione analogica delle norme in tema di separazione e divorzio per riconoscere diritto alla assegnazione della casa familiare. Sostenendo che ciò che viene sempre tutelato è il minore od il soggetto debole, il maggiorenne non economicamente autosufficiente, in quanto figlio. "L'inapplicabilità -recita la Corte- della disciplina in tema di separazione e divorzio alle convivenze con prole non equivale tuttavia ad affermare che la tutela dei figli minori, nati dalla convivenza stessa, resti priva di disciplina".
2.) Casa familiare in locazione. La Corte Costituzionale dopo un lungo cammino ha finito con il riconoscere al convivente il diritto di succedere nel contratto, non solo in caso di morte del conduttore, ma anche quando il conduttore si sia allontanato dalla casa familiare per cessazione della convivenza. Questo solo nel caso in cui vi sia prole naturale.
*** Il Caso: La storia di due ex conviventi, due figlie, una casa acquistata in comproprietà. F. ed L. sono due giovani entusiasti che, dopo un periodo di fidanzamento, decidono di iniziare una nuova avventura: la convivenza. Non credono nel valore del matrimonio e così preferiscono non regolarizzare la loro unione né davanti a Dio né davanti allo Stato. Entrambi hanno un buon lavoro e decidono con i reciproci risparmi di acquistare un elegante appartamento. Acquistato nel 1985 viene destinato ad alloggio proprio e, successivamente, anche dei due figli nati dalla loro unione naturale, caratterizzata da stabilità di sentimenti e da solidità economica. Nel 1995, venuto meno il rapporto affettivo e cessata la convivenza, il compagno di L. lascia la casa comune dove continuerà ad abitare L. con i due figli rimasti con lei. Dopo qualche tempo, F. decide di rivolgersi al Tribunale per ottenere l'uso dell'appartamento. Punto focale della controversia non appare tanto la quantificazione della misura del contributo al mantenimento dei figli minori, quanto piuttosto la legittimità della permanenza di madre e figli nell'appartamento. F. vuole farne parimenti uso e ritiene eccessivamente compromesso il suo diritto di proprietà. Il diritto di abitazione è stato tuttavia riconosciuto ad L., madre dei minori, e ciò argomentando per analogia con quanto disposto in tema di assegnazione della casa coniugale. E' vero che i rapporti non nascenti dal matrimonio non sembrano trovare alcuna tutela giuridica, ma una differente valutazione va espressa quando è coinvolto l'interesse dei minori, sempre e comunque protetto dalla legge. Preminente interesse che, comprime il diritto di F. il quale non potrà né utilizzare l'immobile, né venderlo né tantomeno ottenere un indennizzo per l'esclusivo utilizzo da parte di L. fino a quando, perlomeno, i figli non saranno diventati autosufficienti economicamente. ***


I FIGLI NATURALI: STESSI DIRITTI DEI FIGLI LEGITTIMI.
I figli naturali ed i figli legittimi godono della stessa tutela giuridica. La prole naturale, difatti, non può essere penalizzata perché nata fuori del matrimonio. L'unica differenza, pertanto, di fronte alla legge è costituita dall'aggettivo naturale, marchio indelebile di una generazione fuori del matrimonio. I figli naturali di genitori conviventi.
A) Entrambi esercitano la potestà sui minori.
B) In caso di cessazione della convivenza è il Tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore a decidere sul suo affidamento (nel caso in cui non v'è conflittualità tra i genitori sull'affidamento del figlio, questo rimane affidato al genitore con cui convive).
C) E' competente il Tribunale ordinario per i provvedimenti di assegnazione della casa familiare e per la fissazione del contributo di mantenimento a carico del genitore non affidatario. Tali questioni possono essere valutate anche dal Tribunale per i minorenni ma solo in termine di prescrizione e non di ordini immediatamente esecutivi (sicché spesso si debbono affrontare due cause per regolamentare la situazione di un figlio naturale, nel caso di conflittualità tra i genitori, data la distinzione di competenze operata dalla legge tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni).

Il riconoscimento del figlio naturale. Il riconoscimento del figlio naturale cancella la vecchia discriminazione tra chi è nato da un regolamentare matrimonio e chi no. Il figlio naturale può essere riconosciuto congiuntamente o separatamente da entrambi i genitori maggiori degli anni sedici. Il riconoscimento del figlio minore degli anni sedici non può essere effettuato senza il consenso del genitore - per ragioni naturali la madre- che per primo lo ha riconosciuto. Il consenso non può essere rifiutato nel caso in cui il riconoscimento produca vantaggi per il minore. In caso di giustificata opposizione al riconoscimento, pertanto, decide il Tribunale. Il riconoscimento avrà, in caso di accoglimento del ricorso presentato dal genitore che voglia effettuare il riconoscimento, lo stesso valore del consenso mancante. Il riconoscimento del figlio di anni sedici richiede il consenso di quest'ultimo.

Le modalità del riconoscimento. Esso va fatto nell'atto di nascita. Dopo la nascita può essere fatto con dichiarazione davanti ad un'ufficiale di stato civile (giudice tutelare) con un atto pubblico o con un testamento. Il riconoscimento effettuato è irrevocabile.

Gli effetti del riconoscimento. Il genitore sarà tenuto nei confronti del figlio riconosciuto a tutti i diritti e doveri previsti per i figli legittimi. Non ci sono figli di serie B. Lo stesso obbligo sorge a carico del genitore che sia stato dichiarato tale a seguito di sentenza (c.d. dichiarazione giudiziale di paternità o maternità) del Tribunale per i Minorenni competente. Con la sentenza dichiarativa di paternità o maternità naturale il Tribunale ha competenza a decidere anche l'affidamento del minore ed il contributo a carico del genitore non affidatario. Il provvedimento avrà efficacia di titolo esecutivo, ovvero di titolo necessario per promuovere azione esecutiva nei confronti del genitore inadempiente. Il genitore che per primo abbia effettuato il riconoscimento, poi, potrà ottenere sentenza che condanni l'altro genitore al pagamento di una quota delle spese, sino al riconoscimento ed alla dichiarazione giudiziale, sostenute per l'educazione, l'istruzione ed il mantenimento del figlio naturale. L'obbligo di mantenimento, invero, spetta ad entrambi i genitori che abbiano riconosciuto il figlio, in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Si tiene conto per tale valutazione non solo dei redditi da lavoro ma di ogni altra risorsa economica (es. utili derivanti dall'investimento di capitale o da immobili). Il genitore naturale che convive con il figlio naturale, anche se maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, ha titolo per chiedere direttamente all'altro genitore il contributo al mantenimento.

I diritti successori. La posizione dei figli naturali nella successione dei genitori è uguale a quella dei figli legittimi. Tuttavia, nel concorso all'eredità, i figli legittimi possono liquidare in danaro o beni immobili ereditari la quota spettante al figlio naturale. Se c'è opposizione dei figli naturali, decide il giudice. Infine, i figli naturali instaurano rapporti di parentela soltanto con i genitori, i nonni ed i bisnonni, non invece verso i collaterali (gli zii per es.)

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