Tutti i bambini
hanno diritto ad un padre
e una madre.

La famiglia oggi

Una volta era più semplice dire che cos'è una famiglia, almeno nei nostri paesi di tradizione cattolica: due persone di sesso diverso si promettevano eterna fedeltà nel corso di un rito religioso, ne nasceva un'unione indissolubile cementata da un sacramento.
Poi di solito si mettevano al mondo dei figli. Questa era una famiglia, che un tempo magari si affiancava ad altre sotto lo stesso tetto per formare una sola grande famiglia patriarcale: evento oggi assai raro.
Neppure allora tutto filava liscio: disamore, tradimenti, freddezze erano i tarli che via via rodevano le unioni che difficilmente si scioglievano non essendo consentito il divorzio.

Anche oggi per buona parte la famiglia conserva questi intramontabili contorni. Però ai margini di essa si sono sviluppati, soprattutto dopo l'avvento del divorzio, altri modi di fare famiglia che lasciano perplessi. Ci sono le coppie di fatto, unioni libere tra celibi e nubili; le coppie gay; le famiglie ricostituite, dove almeno uno dei due coniugi viene da un'esperienza precedente (in crescita, quasi 600 mila nel periodo 94-95) che avviano una serie di intrecci con risvolti sociali e psicologici, soprattutto per i figli, di non poco conto. Per non dire delle complicazioni innescate dalla bioingegneria con figli nati da uteri in affitto, con fecondazioni eterologhe e via dicendo... Un guazzabuglio che è servito almeno a richiamare l'attenzione sulla famiglia, istituzione fino a tempi recentissimi relegata ai margini della società.

Oggi infatti la famiglia è al centro del dibattito politico e culturale, sia per la richiesta di interventi di politica sociale insistentemente invocati (anche per effetto del calo demografico che preoccupa non solo i cattolici), sia per le complesse questioni legislative che il parlamento sta affrontando a causa proprio dell'insorgere di questi modi non tradizionali di essere famiglia che richiedono di essere riconosciuti.
Anche le riflessioni e i dibattiti avviati con il Giubileo avranno al centro la famiglia, piccola chiesa domestica, realtà da cui far partire un effettivo rinnovamento dell'intera società: dalle famiglie, nucleo di persone unite dal vincolo indissolubile dell'amore, possono rifiorire quei valori che oggi la società sembra avere smarrito.
Su questi problemi offriamo qui una serie di spunti che possono essere singolarmente o in gruppo approfonditi.

Cominciamo con alcune sollecitazioni offerte dal professor Giorgio Campanini, già docente dell'università di Parma (corsi di Sociologia della famiglia) e ora all'università lateranense di Roma. La sua attenzione alla famiglia è iniziata negli anni 70 con un pionieristico volume, Comunità familiare e società civile (La Scuola editrice, Brescia) e continua con due opere di prossima pubblicazione. La famiglia conviviale (Mondadori) e Le politiche familiari (Edizioni S. Paolo).
Al professor Campanini abbiamo chiesto.

Msa. Una volta era relativamente semplice dire che cos'è una famiglia. Oggi vi sono modelli di famiglia che non si riesce a districare... Vuole aiutarci a farlo?
Campanini. Bisognerebbe innanzitutto distinguere il modello reale dal modello giornalistico. Il modello giornalistico è quello degli attori e dei cantanti, degli sportivi e degli uomini di successo. Sono questi che, in generale, convivono anziché sposarsi, passano da un'avventura a un'altra, hanno compagne e compagni sempre diversi... Ma se guardiamo alla realtà delle cose vediamo, ad esempio, che in Italia, in base all'ultimo censimento, vi erano circa venti milioni di coppie fondate sul matrimonio e circa trecentomila convivenze di fatto. E se questo dato da taluni posto in discussione (ma alle statistiche si oppongono, in realtà, solo generiche affermazioni), vi è un altro dato inoppugnabile, e cioè che oggi in Italia, su cento bambini che vengono al mondo, novantadue nascono in una famiglia nella quale i genitori sono sposati fra loro, e solo otto da coppie che versano in altre situazioni.
D'altra parte il lettore lasciando stare per una volta i giornali e la tv si guardi attorno e consti di persona qual il modello prevalente...

Al di là della realtà di fatto, comunque, una convivenza di fatto, magari una coppia di persone dello stesso sesso, può essere intesa come vera e propria famiglia, e come tale riconosciuta?
In Italia la Costituzione approvata anche dai padri degli attuali uomini della sinistra ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. La prima è riconosciuta e tutelata; delle altre forme non si parla ritenendosi che si tratti di realtà di fatto delle quali il legislatore non dovrebbe occuparsi. Oggi si verifica invece il paradosso di persone che rivendicano il diritto al rispetto della loro privatezza, ma che poi desiderano riconoscimenti e, magari, sostegni economici e di altro genere... Sembra a me che la linea indicata dalla Cotituzione sia tutta valida: o si costituisce un matrimonio, e si entra nella sfera delle relazioni socialmente riconosciute, o si rimane nel privato (un privato che lo stato deve rispettare ma non riconoscere).

Che cosa pensare del crescente numero dei divorzi?
Si tratta di una questione assai seria perché il fenomeno per quanto relativamente limitato perché attualmente interessa circa il venti per cento delle coppie, in prevalenza quelle formatesi nell'ultimo ventennio tendenzialmente in aumento e provoca serie conseguenze per il futuro dei figli coinvolti in queste vicende spesso dolorose e traumatiche.
Dietro il grande numero di divorzi stanno in generale errori di scelta del coniuge, incapacità di porsi autenticamente in relazione con l'altro, carenza di spirito di sacrificio e, soprattutto, un'assolutizzazione dell'idea di felicità. Si vorrebbe che la vita matrimoniale fosse un'eterna luna di miele: così non è e non può essere (ma ci vale, del resto, per ogni esperienza umana, dal lavoro alla politica...). Quando il matrimonio si rivela, di fatto, inferiore a queste altissime e talora spropositate aspettative, lo si rompe e ci si mette alla ricerca del partner ideale, che probabilmente non verrà mai trovato. Occorre dunque un maggiore senso di responsabilità nell'impostare la vita matrimoniale.
Sul benessere, o sul disagio, della famiglia incidono le politiche sociali? Perché l'Italia non ha mai avuto una politica familiare degna di tale nome? Come deve essere impostata, secondo Lei, una corretta politica familiare?

Contrariamente a molti altri paesi, in effetti l'Italia non è mai riuscita ad avviare una seria politica familiare.
La persistente memoria della politica demografica (che è tutt'altra cosa che la politica familiare) fascista, le prevenzioni ideologiche contro la famiglia, un malinteso senso del rispetto della sua privatezza, hanno fin qui impedito concreti e organici interventi.
La situazione è, tuttavia, mutata e va crescendo la consapevolezza che la famiglia non può essere abbandonata al suo destino, anche perché le conseguenze sociali della sua crisi sarebbero assai gravi. Si impone, dunque, un mutamento di rotta, fondato sulla collaborazione fra le politiche nazionali (soprattutto nel senso dell'alleggerimento degli oneri fiscali che gravano sulla famiglia) e le politiche locali (in particolare per quanto riguarda una lungimirante politica della casa e adeguati servizi sociali sia per l'infanzia sia per la popolazione anziana).

Da alcuni anni a questa parte ci si comincia a muovere nella giusta direzione; ma ci si dovrà decidere a investire a favore della famiglia ben più cospicue risorse.
Quali sono le cose che bisognerebbe fare per indicare (soprattutto in occasione del Giubileo) che la famiglia sta riacquistando il ruolo che le compete nella società?
Da parte dello stato e delle comunità locali, occorrerebbe assumere la famiglia mediante organismi di consultazione sistematica (ad esempio nella forma della Consulta delle famiglie) come interlocutore in tutti i processi decisionali che la riguardano. Da parte delle famiglie, il Giubileo potrebbe essere una grande occasione di ripensamento critico dei suoi stili di vita, con l'abbandono di inammissibili stili consumistici e con la priorità accordata al dialogo, al reciproco servizio, all'impegno per gli altri , soprattutto di coloro che non hanno mai avuto o non hanno una famiglia che li sorregga e li sostenga.

 

I NUMERI DELLA FAMIGLIA

Ecco le cifre che fotografano meglio la situazione della famiglia. Il dato che più salta agli occhi è la diminuzione dei matrimoni: 4,8 ogni mille abitanti nel 1998 contro i 5,5 del 1990. In meno di dieci anni le convivenze sono quasi raddoppiate, passando dalle 184 mila del 90 alle 344 mila del 98 (di cui 139 mila con figli). I matrimoni preceduti da convivenze sono decuplicati: solo il 2 per cento dei giovani nel 1980 usciva dalla famiglia prima di sposarsi, ora la percentuale del 13,8 per cento. Le coppie con figli sono passate dal 50,9 al 46,8, quelle composte da almeno quattro componenti dal 32,7 al 28,7.

In aumento le persone che vivono da sole, dal 20,3 al 21,3, e le coppie senza figli, passate nell'arco di otto anni dal 18,8 al 20,8. In crescita pure le famiglie di due componenti, dal 23,7 al 26,4. In salita la percentuale dei bambini da 0 a 13 anni che da dieci anni a questa parte hanno entrambi i genitori occupati, dal 36,8 al 39,3, così come quelli che hanno un solo fratello dal 50,8 al 52,5 o che non ne hanno neppure uno dal 24,1 al 26,7. In diminuzione, invece, i bimbi con padre occupato e madre casalinga, dal 48,1 al 41,3, e quelli che hanno due o più fratelli, dal 25,1 al 20,6.

La famiglia, più europea al Centronord, segue invece una tendenza più tradizionale al Sud. Le madri che lavorano con i figli fino a 13 anni, al Nord sono il 46 per cento, contro il 44 per cento delle casalinghe; mentre nel Sud sono rispettivamente il 56 per cento e il 31 per cento. Gli uomini che collaborano di più alla gestione del mnage familiare sono gli impiegati e quelli in possesso del titolo di studio più alto. Sono soprattutto le mamme, per, a seguire i bambini nei compiti a casa (40,1 per cento contro il 13,1 per cento dei mariti) e a recarsi a parlare con gli insegnanti dei figli (65,6 per cento rispetto al 14,3 fatto registrare dai padri). Un dato allarmante: il 10 per cento delle famiglie con almeno un figlio minorenne versa in condizioni di assoluta povertà.

L'Italia, inoltre, detiene un primato negativo: infatti è l'unico paese al mondo in cui si registra un incremento del numero dei giovani che a trentanni risiedono ancora in casa dei genitori. In compagnia di papà e mamma rimane il 58,7 per cento dei giovani compresi tra i 18 e i 34 anni: la prevalenza, ed è un fatto per certi versi sorprendente, appartiene ai maschi, evidentemente più mammoni rispetto alle femmine. Nel 1990 il 50 per cento degli uomini tra i 25 e i 29 anni e il 28,1 per cento delle donne non avevano ancora lasciato casa. Otto anni più tardi le percentuali erano rispettivamente salite al 70,7 per cento e al 45,6 per cento.
Il 47,3 per cento degli interessati ha dichiarato di stare bene così, avendo la propria autonomia. Solo il 15 per cento dei giovani è costretto a farlo per problemi di abitazione e lavoro.
Insomma, il ritornello casa dolce casa parla sempre più l'italiano.

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