Tutti i bambini
hanno diritto ad un padre
e una madre.

Siamo razzisti?

Siamo razzisti?

Dall'immigrato lavoratore alla famiglia dell'immigrato

Roma, (ASCA) - Anche in Italia si sta passando dalla fase dell'immigrato lavoratore all'integrazione della famiglia dell'immigrato e cio' comporta problemi di conoscenza del fenomeno e di risposte sociali e politiche. Lo sostiene la Caritas Italiana che con la Fondazione Zancan firma il terzo Rapporto annuale sull'emarginazione e l'esclusione sociale in Italia, in libreria in questi giorni.

''La Rete spezzata'' e' il titolo del nuovo Rapporto che ha come filo conduttore la dimensione familiare, considerata sotto cinque profili: l'immigrazione, le nuove forme di disagii degli adolescenti, le condizioni di carcerazione, le poverta' economiche, le diseguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari.

Il Rapporto mette in evidenza come dal 1990 sono andati intensificandosi gli immigrati intenzionati a un radicamento crescente nel territorio, a stabilirsi in Italia per motivi di lavoro e di famiglia. Nel 1999, gli stranieri presenti in Italia da oltre 5 anni erano oltre 300 mila. Sono inoltre 581.000 gli immigrati coniugati e 173.000 gli immigrati coniugati con prole.

In aumento anche i minorenni: all'inizio del '99 i minori stranieri presenti sul territorio nazionale erano 181.597, pari al 14,5% di tutti gli stranieri. Questo numero - secondo il Rapporto - e' destinato a raddoppiarsi. Un fenomeno emergente si riferisce all'aumento dei matrimoni misti. Il censimento generale della popolazione nel 1991 documentava l'esistenza di 65.000 coppie miste, di cui l'84,9% sposate. Oggi sono circa 150.000 le coppie miste in Italia tra cui 11-12.000 islamico-cristiane.

Ogni anno si aggiungono almeno 6.000 nuove coppie miste, mentre una quota rilevante di coppie, inizialmente miste, perde la rilevanza statistica dopo che il coniuge straniero ha acquisito la cittadinanza italiana: nel 1998 i casi di acquisizione di cittadinanza sono stati crica 10.000 di cui ben 8.752 a seguito di matrimonio.

Questa problematica familiare degli immigrati , secondo il Rapporto, e' destinata ad imporsi ancor piu' nel futuro, parallelamente al consolidarsi del processo di integrazione. E a questo punto non e' piu' sufficiente affrontare l'argomento dal punto di vista statistico ma serve ''un approccio interculturale'' per cogliere i problemi di genitori ''presi tra due culture''. Occorre fare percio' uno sforzo collettivo per inquadrare in modo nuovo il ''modello di convivenza societaria'' nel nostro paese.

''Da un lato bisogna rendersi disponibili ad assistere (togliendo a questo termine ogni valenza negativa) quelle persone che partono da posizioni di maggiore sfavore e prevedere opportune azioni di sostegno. D'altro lato bisogna abituarsi a riconoscere che i nuovi venuti, pur sfavoriti da molteplici ragioni, sono portatori di una ricchezza della quale abbiamo bisogno: sotto l'aspetto demografico, lavorativo, religioso e, specialmente, culturale''.

Le famiglie degli immigrati, saranno presenti nella nostra societa' in misura crescente. ''A esigere una politica di apertura nei loro confronti - secondo il Rapporto della Caritas - e' il senso di solidarieta' e anche l'interesse a evitare che un grande fenomeno sociale di portata mondiale, come sono le attuali migrazioni, si traducano in uno scacco umano per gli interessati e in una contrapposizione societaria per il paese dove si sono trasferiti''.

Tanto per cominciare, nel solco della nuova cultura dell'accoglienza, le famiglie immigrate non possono essere considerate unico capro espiatorio dei comportamenti devianti dei suoi figli, quasi che tali comportamenti derivassero soprattutto dall'abdicazione dei genitori all'educazione dei figli.

 

Siamo razzisti con le famiglie miste?

Piccole, ordinarie, quotidiane incomprensioni. Sono queste le trappole in cui cadono le 65 mila unioni miste presenti, stando all'ultimo censimento, nel nostro Paese. Queste coppie sono sempre più numerose (nel 1984 sono stati celebrati 5.400 matrimoni misti; nel 1994 ben 11 mila) e creano famiglie in cui si confrontano religioni e modelli educativi diversi. Ma la loro vita quotidiana non è diversa da quella di una coppia italiana.

A creare attrito tra i partner qualche volta sono i diversi stili di vita, spiega Mara Tognetti Bordogna, docente di Politica sociale all'Università di Milano e autrice di Legami familiari e immigrazione: i matrimoni misti (ed. LHarmattan). Un esempio? La privacy. Per noi italiani la casa è un luogo privato. Per molti immigrati, soprattutto africani e sudamericani, una piazza, un luogo aperto. Non ci sono serrature alle porte delle stanze e al portone di casa.

Si sbaglia dunque quando si immagina che in una storia d'amore tra un maghrebino e un'italiana l'ostacolo maggiore siano le leggi del Corano. A mettere i bastoni tra le ruote della famiglia mista, invece, spesso sono gli altri, la società. Cosa che succede. Soprattutto al Sud.

Chi sposa un extracomunitario si scontra con la propria famiglia d'origine. Genitori e parenti raramente accettano la sua scelta, spiega Luigi Perrone che insegna Sociologia dei processi culturali all'Università di Lecce e sta curando una ricerca su cento coppie miste. Quando mamma e papà sono favorevoli, a creare problemi possono essere gli amici. Come spiega Beatrice Dos Santos, 34 anni, nata in Angola e moglie di Stefano, bolognese:

Quando sono arrivata in Italia, quattro anni fa, non ho trovato un clima accogliente. Questione di sguardi, frasi ironiche sul colore della mia pelle. Anche alcuni amici di mio marito facevano pesare la differenza. Venivo considerata una fortunata perché un principe azzurro mi aveva salvato dalla miseria dell'Angola.

Qualcosa per fortuna sta cambiando. Adesso spiega Beatrice se passeggio per Bologna con mio marito e mio figlio, nessuno ci guarda più in modo strano. Qualcuno sorride. Ma in quel sorriso non vedo più compassione.

 

DAVANTI A DIO E ALLO STATO

Per avere la cittadinanza. I figli di una coppia mista, se nati nel nostro Paese, sono automaticamente cittadini italiani. Quelli di una coppia di extracomunitari, invece, lo diventano solo a 18 anni. Per l'immigrato le nozze con un italiano sono l'anticamera della cittadinanza italiana. Dopo sei mesi di matrimonio l'extracomunitario può chiedere alla prefettura di acquisire la doppia cittadinanza. La ottiene (tempo medio di attesa: un anno) se non ha conti in sospeso con la giustizia del suo e del nostro Paese. Tra i tanti documenti richiesti dalla prefettura (permesso di soggiorno, certificato di residenza, copia autenticata del passaporto e altri) vi sono due certificati penali: quello del Paese d'origine e quello italiano. Tutti i documenti vengono inviati a Roma, al ministero degli Esteri, per ottenere il nullaosta diplomatico. Ultimo passo il giuramento: di fronte a un rappresentante del Comune e a due testimoni, si promette fedeltà alla Costituzione e alle leggi della Repubblica.

Se le religioni sono diverse. L'italiano cattolico che sposa un immigrato di altra religione può chiedere al parroco il rito misto, cerimonia che differisce da quella tradizionale perché il partner non cattolico è dispensato dall'eucarestia. Il vescovo della diocesi deve però dare il suo assenso. E lo fa se gli sposi si impegnano a educare i figli secondo il cristianesimo e a battezzarli e cresimarli.

TORNA SU