Per l'affidamento conta
la volontà del minore.

Mediazione familiare

Il Tribunale di Bari

Sezione Prima

riunito in camera di consiglio e composto dai signori magistrati:
1. Dott. Luigi Di Lalla - Presidente f.f.
2. Dott. Carmela Noviello - Giudice
3. Dott. Ettore Cirillo - Relatore

sciogliendo la riserva formulata, all'esito dell'udienza del 14 novembre 2000, sul ricorso proposto, ai sensi dell'art. 710 c.p.c., il 04.11.1999 da

XXXXXXX (Avv.ti xyz) nei confronti della moglie separata

YYYYYYYY (avv. abc)

O s s e r v a

Nell'ambito della vertenza in esame, riguardante tra l'altro l'esercizio del diritto di visita, l'Assistente Sociale della Circ. V - Torre a Mare/Japigia ha segnalato evidenti segni di rifiuto della figura paterna da parte del minore Michele (nome di fantasia n.d.r.) affidato alla madre ed ha rivolto ai genitori l'esortazione ad essere più collaborativi nel ruolo educativo per il benessere psicologico del piccolo, dovendosi rafforzare il lui la convinzione di avere una vera famiglia su cui fare affidamento nella crescita. I difensori delle parti, nel prendere atto degli esiti dell'inchiesta sociale, hanno dichiarato a verbale la disponibilità dei loro assistiti ad accedere ad un programma di mediazione finalizzato a dirimere ogni difficoltà connessa al rapporto familiare del bambino.

Tale disponibilità deve essere positivamente raccolta dal Collegio.

Infatti le Corti regolatrici hanno da tempo compiuto un percorso che, snodandosi dalla legge del 1967 sull'adozione e via via per tutta la legislazione familiare successiva, ha individuato dei diritti dei minori del tutto autonomi, da considerare con assoluta priorità rispetto a quelli degli altri membri della famiglia.
La presenza di una struttura che parallelamente al processo miri - in termini neutralità e con garanzia di ambiente accogliente e riservato - a riequilibrare la comunicazione tra i coniugi ovvero ex coniugi, nonché tra essi ed i figli minori e/o a carico deve perciò essere vista , in tesi generale, con favore. Invero, già a livello internazionale, il Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa, con la risoluzione n 616 del 21 gennaio 1998, ha affermato la necessità di incrementare l'utilizzo della mediazione quale metodo nell'ambito del quale un terzo, imparziale e neutrale, aiuti le parti a negoziare, ponendosi al di sopra del conflitto.
Il Consiglio d'Europa, nel definire i metodi di mediazione, ha posto particolare attenzione nel ribadire che il mediatore non deve avere il potere di imporre una soluzione alle parti e che "le discussioni che hanno luogo nell'ambito della mediazione sono a carattere confidenziale e non possono essere utilizzate successivamente".
Sicché la figura del mediatore non deve essere confusa con quella del consulente/perito ovvero con l'intervento dei servizi socio/consultoriali.
Il consulente/perito e l'assistente sociale debbono conoscere per riferire, trasmettere elementi di fatto o valutazioni a chi deve decidere; il mediatore invece deve conoscere del conflitto come strumento per adempiere ad un altro compito, quello di fornire ai soggetti la bussola per orientarsi e trovare il cammino che porta alla soluzione del conflitto medesimo.
Per questo motivo i mediatori, in materia di diritti di famiglia e delle persone, non devono essere portatori di forza decisionale, neppure indiretta, non sono giudici o coadiutori nel giudizio, ed i componenti del nucleo familiare (anche di fatto) non devono sentirli come tali.
Per questa via la figura la mediazione dei conflitti va letta nella logica di una "giustizia compositiva" che può diventare fonte prevalente, ma non incontrollata, nel dettare la vita delle famiglie, legittime e di fatto, nei momenti di rottura e dissidio.
Ma questa "giustizia compositiva" non un obiettivo solo giudiziario, emergendo dal sistema nitida la necessaria sinergia con l'ente territoriale, merc l'attribuzione legislativa all'ente locale delle attività relative agli interventi a favore dei minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito delle competenze amministrative e civili [art. 23, lett. c), d.p.r. 616/77].
Che pure l'ordinario tribunale civile - allorquando deve operare nell'interesse dei minori con la latitudine dei poteri di cui all'art. 155 c.c. e dell'art. 6 della legge divorzile - rientri nella categoria delle autorità giudiziarie minorili cui fa riferimento il d.p.r. 616 da considerarsi dato acquisito, non potendosi creare una ingiustificata disparità di trattamento - "alla rovescia" - tra interventi devoluti dalla riforma del 1975 al giudice minorile in tema di figli di coppie non sposate, per i quali vige la regola del ricorso ai servizi sociali, ed interventi a favore dei figli di coppie coniugate devoluti in fase di separazione/divorzio al giudice civile, per i quali i servizi sociali non sarebbero giudizialmente attivabili.
Il principio costituzionale di equiparazione degli strumenti a tutela dei minori, indipendentemente dalla loro nascita, e gli interventi interpretativi ed additivi della Corte delle Leggi costituiscono una univoca ed estensiva chiave ermeneutica.
Se i centri di mediazione familiare rientrano dunque nel concetto ampio di servizi sociali [ad esempio nell'ambito dei servizi di sostegno alla relazione genitori-figli e di contrasto alla povertà ed alla violenza a mente dell'art. 4, lett. i), della legge 285/97], ragionevole concludere che le autorità giudiziarie minorili, e quindi pure l'ordinario tribunale civile allorquando deve operare nell'interesse dei minori, possano ricorrere ai centri pubblici o convenzionati coll'ente locale per la mediazione familiare.
Invero l'art. 23 del d.p.r. 616, letto in unione all'art. 4 della legge 285, porta ad escludere che l'intervento dei servizi degli enti locali possa essere limitato alla sola fase attuativa dei provvedimenti giudiziali ovvero a quella prodromicamente conoscitiva. Il riferimento quello alla figura generale dell'ausiliario del giudice così come delineata dall'art. 68 c.p.c., secondo cui, indipendentemente dall'ipotesi della consulenza tecnica disciplinata dai precedenti artt. 61/64, "il giudice si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che egli non in grado di compiere da solo".
Orbene, pacifico (es. art. 708 c.p.c., artt. 183 e 185 c.p.c., ecc.) che il giudice sia tenuto a procurare la conciliazione delle parti; si tratta di un obiettivo che, in materia di famiglia, non sempre può essere agevolmente perseguito nei pochi minuti di un'udienza richiedendo (a) il faticoso percorso della coppia verso il controllo personale della propria vita futura senza deleghe a terzi; (b) l'analisi dettagliata e sincera degli elementi di contesa, ivi compresa la imprevedibile reattività della prole soprattutto se minorenne; (c) la lenta maturazione di un comune modo di sentire basato sul senso di responsabilità verso sè stessi e verso i figli.
E' qui che si aprono gli spazi processuali per il ricorso all'attività dei mediatori familiari, potendo il giudice farsi assistere da esperti nella negoziazione della crisi coniugale e, dunque, da persona idonea al compimento di atti (e cioè il lungo itinerario di ricomposizione del conflitto ad es. genitore-figlio), che egli non nelle condizioni oggettive di compiere.
Il riferimento combinato (a) alla sinergia tra autorità giudiziaria ed ente locale posta dall'art. 23 d.p.r. 616 in materia, (b) al ruolo specifico della mediazione familiare nell'ambito dei servizi sociali di sostegno di cui all'art. 4 L. 285, (c) al principi processuali in tema di ricomposizione dei conflitti a mente dell'art. 708 e degli artt. 183 e 185 c.p.c., (d) alla possibilità di ricorrere ad ausiliari atipici per il compimento di atti che il giudice non è in grado di compiere da solo alla luce dell'art. 68 c.p.c., portano ad ipotizzare la confluenza dell'attività delle strutture pubbliche di mediazione familiare nell'ambito della dinamica processuale per ausiliare il giudice nell'esercizio di quella "giustizia compositiva" che sta alla base delle prescrizioni legislative in tema di tentativo di conciliazione.
Sicché il giudice, valutate le ragioni di conflitto, può indirizzare la coppia all'intervento mediativo della struttura pubblica a ci deputata e rinviare la causa ad altra udienza per esaminare i risultati eventualmente raggiunti che devono essere sottoposti al vaglio dell'A.G., sia per assurgere al rango di titoli esecutivi sia per la frequente indisponibilità degli interessi in gioco.
La gratuità dell'ingresso dell'ente locale nell'area processuale civile ordinaria della famiglia e dei minori consente, poi, da un lato di dare compiuta attuazione a quei compiti promozionali del benessere dei cittadini devoluti al comune dalla L. 142/90, dall'altro di agevolare l'accesso ad una reale negozialità tra i coniugi in crisi spesso ragionevolmente preclusa dai costi peritali non sempre sopportabili da parte di soggetti non abbienti.
Nulla osta all'affidamento di compiti ausiliari del giudice impersonalmente a strutture pubbliche o convenzionate coll'ente locale; in verità, a parte il dettato dell'art. 23 d.p.r. 616 che non dovrebbe lasciare dubbi in proposito, va ricordato che il generico riferimento dell'art. 68 c.p.c. a "persona idonea al compimento di atti" non esclude affatto le persone giuridiche, private e pubbliche, nelle loro articolazioni.
A tal fine va ricordato che, ad esempio nel diverso settore del processo esecutivo, il G.E. designa "le persone che devono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta" e che nella prassi applicativa dell'art. 612 c.p.c. tali incarichi vengono talvolta conferiti anche a persone giuridiche, ove si tratti di lavori di particolare rilevanza e complessit; sicché non v'è ragione perché l'analoga espressione "persona" contenuta nell'art. 68 c.p.c. debba ritenersi riferita solo alle persone fisiche.
Pertanto nella fattispecie, preso atto della disponibilità rappresentata da entrambe le parti tramite i loro difensori e dovendosi operare nell'interesse del minore XXX Michele (cl. 1995) con la latitudine dei poteri di cui all'art. 155 c.c., il Tribunale può disporre l'effettuazione di un programma di mediazione familiare e la segnalazione del caso al Centro comunale competente; ogni altra iniziativa giudiziaria, anche istruttoria, va differita onde non turbare il percorso mediativo.

P.T.M.

IL TRIBUNALE - applicati gli artt. 155 c.c., 68 e 185 c.p.c., 23 d.p.r. 616/77, 4 L. 285/97 - così provvede:
Dato atto del consenso delle parti all'effettuazione di un programma di mediazione familiare dispone, nelle more del rinvio alla prossima udienza del ___________________, la segnalazione del caso al "Centro per le Famiglie" (c/o Chiesa Russa - Corso Benedetto Croce, 130/A, Bari), che provvederà a convocare gli interessati (YYYYYYYY, res. ....... - Via ...................; XXXXXXX , res. ........... - Via ................) ed a notiziare per iscritto questo ufficio degli eventuali esiti positivi dell'intervento mediativo entro il giorno 31 marzo 2001.
Riserva all'esito ogni altro provvedimento.
Si comunichi anche al Centro comunale sopra indicato.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del Tribunale di Bari, il giorno 21 novembre 2000.

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